Oggi l’Azienda ci ha illustrato il processo con cui il Gruppo ha ottenuto la Certificazione Nazionale sulla Parità di Genere.
La legge 162/2021 (art. 4), al fine di rafforzare la tutela della pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo, ha introdotto a partire da gennaio 2022, la certificazione di genere prevista dal PNRR (prassi UNI/PDR 125:2022), che consente ai datori di lavoro, su base volontaria, di attestare, attraverso il rispetto di determinati parametri, le misure adottate in azienda per ridurre il divario di genere.
Intesa Sanpaolo ha ottenuto la certificazione da Accredia (ente italiano di accreditamento) a novembre 2022, valida per 3 anni e confermata nel 2023, a seguito dell’analisi di specifiche variabili che contraddistinguono, ciascuna con uno specifico peso, un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere:
- cultura e strategia (15),
- governance (15),
- processi di human resources (10),
- opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda (20),
- equità remunerativa per genere (20),
- tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (20)
Durante l’incontro sono stati affrontati temi importanti come:
- la prevenzione di molestie e violenze sul luogo di lavoro
- la necessità di rimuovere gli ostacoli che impediscono anche in questa azienda al personale femminile di avere salari e percorsi di carriera equi e paritari.
Abbiamo ribadito quanto emerso anche dall’analisi della presentazione dei dati annuali (ve ne avevamo dato conto qui) rilevando come, laddove non esiste salario variabile contrattato o laddove non esistono inquadramenti derivanti da accordi ma soltanto promozioni, chi paga il prezzo più alto sono le donne
Anche grazie alle continue sollecitazioni del tavolo sindacale, l’Azienda ha nel tempo dimostrato attenzione alla valorizzazione delle diversità, all’inclusione, all’equità di genere, ma l’arretratezza culturale che ancora caratterizza la nostra società, ne sono testimonianza le pressoché quotidiane notizie di cronaca, riguarda anche noi. Purtroppo non basta inserire l’obbligatorietà dei corsi di formazione sulle molestie, se, per esempio, non si mettono in atto interventi efficaci su chi ancora usa un linguaggio offensivo o aggressivo nelle riunioni commerciali.
L’incontro di oggi è stata dunque l’occasione per ribadire alcune nostre richieste e per avanzare i nostri spunti di riflessione, in particolare per:
- Rendere maggiormente trasparenti e settorializzati i dati di genere (annuali, trimestrali e biennali di genere) per avere a disposizione strumenti di analisi migliori per fare proposte concrete indirizzate a ridurre il differenziale retributivo di genere e abbattere il cosiddetto soffitto di cristallo, che relega ancora la popolazione femminile del Gruppo in inquadramenti inferiori rispetto agli uomini (in particolare nell’area QD/dirigenti).
- Proporre azioni da mettere in campo per fare “cultura”, dal linguaggio, alla conoscenza degli strumenti a tutela di chi subisce molestie sul luogo di lavoro.
- Analizzare, conoscere ed eventualmente intervenire sulle oggettive differenze territoriali (sia come diverse aree di lavoro che come aree geografiche) per correggere le storture che si determinano per effetto di un’organizzazione del lavoro calata dall’alto e costruita su algoritmi spesso solo apparentemente neutri, che incidono in modo diverso su platee e territori diversi.
Basti pensare che nel nostro paese le donne attualmente impiegate nello sviluppo dell’ intelligenza artificiale, su cui le banche, ma non solo, costruiscono i loro piani d’impresa, rappresentano solo il 22% della forza lavoro, per capire quanto sia importante continuare a sollecitare le aziende su questi temi e quanti siano gli aspetti, vecchi e nuovi, su cui intervenire per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità̀ di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
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Buongiorno, sono d’accordo soprattutto sul punto nel quale si evidenzia che non esistono inquadramenti previsti da accordi che preveda anche per noi donne, che hanno un contratto part time, un passaggio al liv. QD e che ci lascia relegate in inquadramenti impiegatizi fino alla fine del percorso lavorativo, non permettendoci di fare il salto se non per promozione. Un differenziale retributivo di genere che ci penalizza. Credo che l’Azienda/Sindacati dovrebbero lavorare su questo punto.
Buongiorno Cristina , va da sé che come delegazione trattante della Fisac Cgil cerchiamo e cercheremo sempre di migliorare i percorsi inquadramentali esistenti e inserirne di nuovi laddove al momento mancano. Il tema del part time e delle sue implicite penalizzazioni (pensiamo anche ai riflessi sui trattamenti economici previdenziali!) è ben conosciuto in Fisac e nella Cgil, e sappiamo che la questione ricade sulle donne perché ancora in questo paese sono loro, nella stragrande maggioranza dei casi, ad occuparsi del lavoro non retribuito di cura. Grazie del tuo contributo che ci conferma che dobbiamo continuare ad impegnarci per eliminare discriminazioni e differenze salariali.