Pubblicato il – 24 Marzo 2021


SW, Congedi, Bonus Baby Sitter: poche soluzioni, tanta confusione e ancor più rischi

La recente pubblicazione del “Decreto 30/21 – interventi a favore dei genitori con figli minori in dad” (ne avevamo parlato qui) rende indispensabile tornare ancora una volta ad analizzare gli intrecci tra SW, Congedi parentali, Bonus baby sitter nella fase pandemica, e più in generale della concezione e della gestione dello SW in quella che in qualche modo sarà la nuova normalità lavorativa post pandemia.

Innanzitutto il nuovo Decreto del Governo non ha chiarito fino in fondo le compatibilità/incompatibilità tra SW, Congedi parentali, Bonus baby sitter: a dieci giorni dalla pubblicazione del Decreto siamo – purtroppo come sempre – ancora in attesa delle circolari interpretative INPS.

Ma forse è ancora più incredibile che il Decreto continui a proporre una sorta di sovrapponibilità tra lo SW e il lavoro di cura, come se lavorare da casa non fosse in fondo un vero lavoro, ma una specie di permesso, un momento ibrido in cui occuparsi dei propri figli tra una call e l’altra, mentre si gestisce una pratica o un progetto. Tutto questo senza che sia ben chiaro a chi toccano gli scampoli di tempo rubati a casa: ai figli o a lavoro? Nella realtà, questa contraddizione molto spesso si risolve nel “solito” (peraltro inaccettabile) modo: poiché i figli devono essere accuditi comunque, e il lavoro deve essere svolto comunque, il tempo rubato diventa quello libero, che sempre più spesso e per porzioni sempre più ampie viene dedicato al completamento delle incombenze lavorative.

È poi particolarmente grave la discriminazione che esclude i dipendenti dal Bonus baby sitter, lasciando come unica alternativa (peraltro solo dove lo SW non è praticabile) i Congedi straordinari Inps. Congedi che però sono retribuiti solo al 50%, determinando tutta una serie di disparità di accesso sulla base delle condizioni individuali.

In tutto questo, chi ne fa le spese più gravi sono ancora una volta le donne, il cui lavoro professionale continua ad essere considerato sacrificabile e su cui viene scaricato il grosso del lavoro di cura. Il che è un problema enorme, visto che in un modo o nell’altro la pandemia è un fenomeno destinato a passare, ma non le trasformazioni del lavoro che porta con sé, a partire appunto dall’utilizzo strutturale dello SW che si sta profilando.

Fin qui le contraddizioni, i ritardi culturali e le gravi discriminazioni economiche e di genere che sottendono la filosofia del recente Decreto.

Non da meno sono le piccole e grandi resistenze (quando non vere e proprie furbate) che contraddistinguono la gestione dello SW nella nostra azienda. Come definire altrimenti il continuo rifiuto di prendere in considerazione il pagamento dei buoni pasto, il ristoro delle maggiori spese, la reale vigilanza sul benessere fisico e psicologico, così come la salvaguardia del tempo libero dei propri dipendenti coinvolti nello SW? E che dire del continuo rimandare ad altri momenti e ad altri decisori l’avvio di una gestione realmente flessibile ed estensiva dello SW anche nella Rete, dove finora vi è stato un utilizzo del tutto marginale anche quando sarebbe stato possibile un ricorso decisamente più ampio?

Sono domande molto serie e chiamano in causa l’azienda che molto velocemente dovrà uscire allo scoperto e decidere come affrontare – negoziandola nel merito, concretamente e certificando la volontarietà – una questione così radicale e decisiva per lo sviluppo professionale e la qualità di vita dei colleghi.

FISAC/CGIL Grattacielo Intesa Sanpaolo

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