“A quattro anni dalla sua nascita il contratto misto si conferma un’opportunità per le persone e per l’azienda, favorendo l’occupazione e la competitività in uno scenario economico e sociale in continua mutazione”.
Comincia così l’articolo che festeggia il compleanno del contratto misto a quattro anni di distanza dalla sua nascita. Buon compleanno contratto misto. Quanto sei cresciuto? L’articolo di Mosaico riporta, attraverso l’utilizzo di grafici, un parallelismo che tiene conto dello stipendio di un collega full time con inquadramento 3A1L e di un collega contratto misto. Dal grafico emerge una crescita notevole in termini reddituali del secondo rispetto al primo, assumendo connotazione centrale il termine reddito netto.
Per opportunità di trasparenza si è pensato di riportare in maniera oggettiva quanto del reddito tenuto in considerazione nei grafici viene trattenuto nelle tasche dei colleghi junior e senior. Una premessa ulteriore corre d’obbligo: la stragrande maggioranza dei colleghi junior aggiunge, a quanto verrà esposto in seguito, spese ulteriori che, in linea generale, costituiscono una variabile di rilevante incidenza.
Il dato che si porta all’attenzione include pagamento dell’affitto, spostamenti a proprio carico, tenuto conto che diversi colleghi si sono spostati dal sud al nord.
Anticipato questo, per dovere di cronaca nei confronti dei colleghi full time che si saranno interrogati circa la convenienza o meno dello switch – passaggio, per chi crede ancora in maniera romantica nella propria lingua madre- va detto che, a fronte di un reddito depurato di tassazione, il reddito del gestore a contratto misto supporta dei costi diretti e indiretti. I secondi vanno intesi come opportunità di mancato guadagno ed incidono nella propria vita in virtù dell’assenza del welfare.
Da gennaio 2019 è possibile aderire al regime fiscale c.d. forfettario (flat tax). Si tratta propriamente della possibilità di pagare, con un’aliquota piatta, circa il 15% sul 78% del reddito fatturato, qualora lo scaglione rientri nei 65.000 euro annui. Si passa al 20% se quest’ultimo subisce un aumento.
Tuttavia è prevista un’ulteriore possibilità, a fronte del rispetto di determinati requisiti previsti per legge, di poter accedere ad un ulteriore vantaggio fiscale. Chi non ha avuto in precedenza rapporti di lavoro subordinato con lo stesso datore di lavoro e non ha avuto antecedenti aperture partita iva, paga per circa 5 anni il 5% sul 78% del reddito fatturato. Di conseguenza, rientrano nel regime ordinario tutti coloro che non rispettano i requisiti sopra riportati.
A supporto delle suesposte argomentazioni verranno riportati i due esempi pratici richiamati nell’articolo pubblicato su Mosaico con i relativi approfondimenti. Calcoli alla mano.
Consulente junior: reddito annuo 13.200 euro. Reddito imponibile al 5% pari ad euro 10.296 euro. Imposte pari ad euro 514,80 che vanno moltiplicate per due, in quanto lo Stato italiano abbraccia la logica della ritenuta di acconto, secondo la quale si presume che il reddito prodotto l’anno precedente eguagli quello successivo (euro 1029,60).
Consulente senior: reddito annuo 31.200 euro. Reddito imponibile al 15% pari ad euro 24.336. Imposte pari ad euro 3.650 (7.300 euro per i motivi di cui sopra).
A questo vanno sommati i contributi INPS, a seconda dell’adesione o meno alla domanda di abbattimento. Ragion per cui si pagheranno 3.600 euro annui se non si aderisce alla domanda, 2400 euro annui con l’adesione, adesione che comporta una riduzione del periodo contributivo annuo da 12 mesi a 10.
Inoltre vanno aggiunti:
- il costo pari ad euro 185 dell’iscrizione all’albo OCF;
- il contributo di circa 50 euro da versare entro giugno di ogni anno alle rispettive Camere di Commercio;
- l’Enasarco (aliquota pari al 17% da decurtare su ogni fattura mensile, di cui l’8,5 % a carico del consulente e l’8,5% a carico dell’azienda).
Non tutti sanno che l’agente di commercio appartiene all’unica categoria professionale presente nel nostro Bel Paese che sostiene i costi previdenziali pubblici e privati. Tradotto: paga i propri contributi all’INPS e ad una cassa privata.
A fronte del ragionamento sviluppato, è facile dedurre quanto segue: un consulente junior sommerà ai 1029,60 euro i 2400 euro di contributi previdenziali (o 3.600, ma si preferisce rimanere nella migliore delle ipotesi), ottenendo un costo annuo da supportare di circa 3.429,60 euro (diviso su base mensile, si ottiene 285 euro); un consulente senior supporterà un costo di euro 4.833,60 (circa 402 euro mensili).
Va anche detto che è del tutto irragionevole immaginare di tenere dietro a tutte le incombenze fiscali e previdenziali legate al lavoro autonomo senza rivolgersi a un commercialista. Per una gestione semplificata le tariffe di mercato partono da almeno 600€ annui
A queste considerazioni va specificato, come anticipato, il discorso legato al mancato guadagno di tipo indiretto:
- la perdita del 60% della contribuzione a carico dell’azienda all’INPS (circa 6.000 euro annui) che produrrà una correlata riduzione del 60% dell’importo della pensione;
- la perdita del 60% della contribuzione a carico dell’azienda alla previdenza complementare (circa 650 euro annui);
- la perdita del 60% del TFR, circa 1.300 euro annui;
- la perdita del 60% delle quote del PVR e dei sistemi incentivanti, misurabili in svariate centinaia di euro all’anno;
- la perdita del 60% dei buoni pasto (circa 930 euro annui);
- il pagamento della contribuzione piena al Fondo Sanitario, pure a fronte dello stipendio da part time, con un aggravio di circa 190 euro per ogni persona iscritta al Fondo.
Rappresentate le più floride delle ipotesi, sarà più chiaro valutare le proprie scelte in campo lavorativo.
Ai posteri l’ardua sentenza.
Coordinamento FISAC Lavoratori Misti dell’Area Torino e Provincia
Buongiorno una precisazione , INPS riportato è il minimo obbligatorio a prescindere dal reddito. Per quanto riguarda un reddito superiore ai 16k, mi sembra, oltre ai 3600 si aggiunge una % (20 circa) sui redditi maggiori. Inps pesa molto di più
Non si può ovviamente fare una valutazione senza sapere il portafoglio che potrai avere come autonomo, direi. So di qualcuno che ha fatto il passaggio e si trova bene…
Utilità e finalità della redazione dell’articolo vuole essere l’approfondimento dei costi che si sostengono a fronte di un reddito percepito e di una situazione tipo, avendo di fronte a sè il quadro di cosa si affronta dopo una scelta quale può essere quella a prevalenza in regime a partita iva.
Lo scopo non risulta quello dell’orientamento verso un giusto o sbagliato in senso assoluto, quanto piuttosto nell’approfondimento di ciò che si supporta in linea di massima.
Nella redazione dell’articolo è stato preso, a titolo esemplificativo, il riferimento ai redditi riporti e per i senior e per gli junior dall’articolo di Mosaico. Di conseguenza, in presenza soprattutto di contratti misti di tipo junior, i costi da sostenere sono quelli elencati. Avendo la stragrande maggioranza aderito alla domanda di abbattimento della contribuzione INPS, in generale si versa l’importo di euro 2400.
Ho seri dubbi sull’applicabilità del regime forfettario per i contratti misti.
Vi invito a leggere la circolare n. 9 del 10/4/2019 dell’Agenzia ad oggetto “Modifiche al regime forfetario – articolo 1, commi da 9 a 11, legge 30 dicembre 2018, n. 145”, da cui emerge che non può coesistere lavoro dipendente e regime forfettario se questo è se prestato prevalentemente nei confronti dello stesso datore di lavoro.
Riporto lo stralcio d’interesse :
“La lettera d-bis) del comma 57 è stata riformulata prevedendo che NON possono avvalersi del regime forfetario le persone fisiche la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili ai suddetti datori di lavoro, ad esclusione dei soggetti che iniziano una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatorio ai fini dell’esercizio di arti o professioni.”
La possibilità di aderire al regime forfettario è garantita appunto a coloro che “iniziano una nuova attività dopo aver svolto il periodo di pratica obbligatorio ai fini dell’esercizio di arti o professioni”, anche nel caso di attività autonoma prevalente con il datore di lavoro. Questa è la condizione della stragrande maggioranza dei ragazzi che incominciano con il Contratto misto. Gli altri sono invece esclusi. La questione è stata verificata con i consulenti fiscali dell’azienda e con i nostri commercialisti di fiducia.
Effettivamente ho trovato la risposta n.484 dell’Agenzia delle Entrate all’interpello di Intesa Sanpaolo a riguardo, che conferma quanto da voi riportato (basta googolare “interpello contratti misti”).
Resta escluso il regime forfettario per i colleghi che intendessero valutare il cosiddetto switch.
Grazie.