Nei giorni scorsi si è riunito il Direttivo di Gruppo FISAC/CGIL Intesa Sanpaolo che, in relazione al progetto sui Non Performing Loans (NPL), ha definito una serie di valutazioni e richieste.
Rispetto a questo progetto il Direttivo ribadisce la totale contrarietà a processi di esternalizzazione e chiede con forza che l’Azienda faccia chiarezza nel più breve tempo possibile sui contenuti e sulla natura dell’operazione, consentendo di capire, innanzitutto, se si tratti di un progetto industriale o di una mera operazione finanziaria.
In ogni caso, l‘applicazione del CCNL Credito per tutto il personale coinvolto è il primo e irrinunciabile obiettivo sindacale; ma rappresenta solo la base di partenza per una possibile trattativa.
Inoltre:
- nel Recupero Crediti, dove è rilevante la presenza di personale giovane, va garantita la massima sicurezza per il futuro, sia in termini occupazionali che in termini di crescita professionale, con la totale invarianza dei trattamenti economici, normativi e di welfare in essere;
- i siti produttivi sono concentrati in prevalenza nelle zone più disagiate del Paese e rappresentano un baluardo contro la desertificazione produttiva: vanno quindi salvaguardati, nella loro attuale distribuzione territoriale, per garantire contemporaneamente tutela occupazionale individuale e difesa dei territori.
Dopo 10 anni di crisi, la situazione economica delle famiglie e delle imprese del Paese non può reggere metodi di recupero del credito diversi da quelli adottati fino ad oggi dagli operatori Bancari, sottoposti a rigidi vincoli di normativa e di sorveglianza e culturalmente orientati alla sostenibilità nel tempo dell’azione di recupero; Intesa Sanpaolo dovrà dare garanzie sociali anche in tal senso.
qui il documento finale del Direttivo
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ancora un comunicato, piu’ o meno uguale a quelli degli ultimi anni. mesi e mesi di nulla sindacale, le filiali soffocano con la piu’ grave crisi di mancanza del personale della storia e l’unica cosa che si vede e’ un altro inutile volantino
Ovviamente nessuna analisi, nessun documento e nessun presa di posizione ha il potere di risovere di per sè i problemi. I problemi non trovano in nessun caso una soluzione definitiva, tantomeno rapida. Analizzare la situazione e chiedere gli interventi per cambiarla è un processo più difficile e lungo, ma offre possibilità più concrete di un semplice slogan o inziative spot. Sollecitare la razionalizzazione della rete distributiva, chiedere il ripensamento degli orari di apertura, spingere sulle assunzioni anche per la rete non sono soluzioni salvifiche e immediate, ma hanno il pregio di poter vedere una realizzazione concreta che possa mitigare gli effetti concentrati del disallineamento temporale tra avvio degli esodi, chiusure di punti operativi, assunzioni, percorsi di riconversione e integrazione con i nuovi strumenti informatici.
Bene, corretto l’approccio.
Ma per tentare di conservare il proprio futuro, gli NPL devono restare in azienda non solo come gestione, ma come asset oggi fondamentale.
Le scelte in tema di NPL condizioneranno il futuro di tutti, non solo degli attuali addetti, pochi o tanti che siano. Di certo arricchiranno solo chi gli NPL li comprerà (magari a costo zero, come ha detto il ceo in una intervista disponibile nella webtv).
Avere in pancia 50 miliardi di NPL (crediti deteriorati) significa:
1) che i finanziati (territori, aziende, persone fisiche etc) non meritavano i finanziamenti ricevuti e che erano o sono diventati deteriorati (anzi marci).
2) Oppure significa che amplissimi sono i margini di miglioramento della filiera del credito.
3) Oppure ancora, ognuno dica la sua, un po’ e un po’.
La banca però:
1) non ha strumenti credibili (tanto meno bacchette magiche) per rendere solvibili i finanziati oramai deteriorati / marciti;
2) la più ottimale rieducazione della filiera del credito potrà, nella migliore delle ipotesi, limitare ulteriori future fregature; di certo non ridurre quella oramai tirate a bordo.
E allora ridurre gli NPL significa solo cederli.
Sono marci e tali rimangono, ma “spariscono” dal bilancio che sembrerà “più bello” ma con voragini di necessarie ricapitalizzazioni (a meno di alchimie, ovviamente formalmente e chissà se sostanzialmente anche corrette).
Di certo chi compra gli NPL si arricchisce: ma a spese di chi? Di certo a spese del futuro di tutta la banca: azionisti, dipendenti etc etc.
Perché si arricchisce? Provo a spiegarmi:
– 50mld di NPL già svalutati al 60% valgono 20mln;
– vendere 20mld al 10% significa:
o per la banca incassare 2mld e dover fare una ricapitalizzazione di 18mld;
o per l’acquirente pagare 2mld e portarsi a casa crediti deteriorati per 50mld.
L’acquirente che ha investito 2mld potrà, per esempio offrire ai debitori transazioni:
– al 10% e incasserà 5mld: avrà portato a casa il 250% dell’investimento;
– al 20% e incasserà 10mld: avrà portato a casa il 500% dell’investimento;
– al 40% e incasserà 20mld: avrà portato a casa il 1000% dell’investimento!
Questi sono affari colossali: perché farli fare a qualcuno fuori dalla banca?
Li deve fare la banca – altrimenti non servono più 100.000 dipendenti (né all’acquirente, né alla banca).
E allora per tentare di conservare il proprio futuro, gli NPL devono restare in azienda non solo come gestione, ma come asset oggi fondamentale.
La questione NPL è molto complessa e delicata. Vi sono almeno due aspetti che devono essere presi in considerazione:
1) Professionalità, condizioni di vita e qualità del lavoro, tutele normative e occupazionali per i colleghi coinvolti
2) Politica “industriale” e finanziaria collegata alla gestione interna o esterna di questa attività.
I due risvolti sono strettamente connessi, ma vale comunque la pena di analizzarli – almeno in parte – separatamente.
Il primo aspetto è di stretta pertinenza sindacale e l’azienda non può in nessun caso immaginare di sottrarsi alle richieste che abbiamo presentato in forma molto chiara. L’invarianza delle condizioni retributive, normative, di welfare, e di continuità occupazionale oggi garantite ai colleghi non possono in alcun modo essere messi in discussione da qualsiasi scelta operativa venga messa in campo. Questo deve comprendere anche il mantenimento di tutti i siti già esistenti, nonché il rispetto degli impegni rispetto all’apertura dei nuovi. Questo perché una sufficiente distribuzione territoriale dei poli è garanzia di un efficace lavoro di recupero quanto di una accettabile bilanciamento vita/lavoro per i colleghi impegnati.
Il secondo aspetto, stante il sistema normativo del nostro paese, non è nelle disponibilità negoziali sindacali. Nonostante questo, nella nostra veste di rappresentanti dei lavoratori (uno egli stakeholders “portatori di interessi” aziendali), abbiamo chiesto all’azienda i chiarimenti del caso sulla sua politica in merito agli NPL. Il nostro punto di vista è che la gestione degli NPL siano una delle attività che caratterizzeranno in modo stabile e irreversibile l’attività bancaria. L’norme montante attuale di NPL del sistema bancario italiano è il frutto di una crisi lunga e sistemica intrecciata con gestioni manageriali molto spesso non “all’altezza” del compito (che hanno prodotto i fallimenti mascherati di moltissime banche). Una tale massa (in grado di pregiudicare la tenuta del paese) non poteva non attirare l’attenzione dei regolatori sovranazionali, e così è stato. La necessità del dimezzamento è legata a questioni sistemiche. Non a caso, a questo proposito, sono stati introdotti i nuovi principi contabili IFRS 9 in sostituzione di IAS 39. Tutto ciò spinge l’azienda a una liquidazione veloce di una massa consistente di NPL, senza impatti sul bilancio, anzi conseguendo una notevole liquidità. Tuttavia, proprio una “possibile” ripresa del ciclo economico porterà la creazione di nuovo credito e – inevitabilmente – una quota di nuovi NPL. Ovviamente si spera in misura percentualmente meno incidente di quanto non sia stato prima, ma comunque rilevante in termini volumetrici assoluti. Le stesso piano industriale dedica ampio spazio al rafforzamento della gestione “proattiva” del credito (appunto per ridurre l’incidenza degli NPL futuri), ma anche alla possibile apertura di un service interno per la gestione degli NPL di altri soggetti meno strutturati.
La nostra richiesta di chiarimenti all’azienda verte proprio sulla definizione di quali siano le linee strategiche per la gestione di una fase intrinsecamente contraddittoria come quella che vede forti spinte a breve per la cessione (parziale) di una quota di passività e altrettanto forti necessità di mantenere il controllo su un ciclo di lavorazioni strategiche.
Questa analisi (necessariamente approssimativa pur nella sua lunghezza) dei due aspetti connaturati alla vicenda NPL mette quindi in evidenza come le condizioni dei lavoratori coinvolti debbano essere garantite a prescindere dalle ragioni industriali, ma – per contro – come le scelte industriali non potranno che impattare sull’insieme dell’intera compagine del gruppo.
Cito “Una tale massa di NPL (in grado di pregiudicare la tenuta del paese) non poteva non attirare l’attenzione dei regolatori sovranazionali, e così è stato. La necessità del dimezzamento è legata a questioni sistemiche. Non a caso, a questo proposito, sono stati introdotti i nuovi principi contabili IFRS 9 in sostituzione di IAS 39”.
Sorprende la lievità con cui si parla di quasi banale “sostituzione” – che invece grida vendetta.
Ma è vero, è proprio così: IAS 39 ha “aiutato” a fallire un bel popò di banche (e chi se n’è fregato dei soci, dei clienti, dei dipendenti, dei territori di quelle banche, dei cittadini tutti obbligati a farsi carico dei guasti) e per non farne fallire altre (che si sono portati a casa territori, clienti, ricchezza e qualche concorrente fatto fuori, etc) si è passati all’IFRS 9.
Santa Chiara chiuse le porte delle stalle quando i buoi erano già spariti (molto probabilmente perché rubati).
È come dire che ad evitare il fallimento delle non fallite non è la loro intrinseca qualità ma solo il cambio delle regole che certificano il fallimento.
È come dire che per qualche anno nessuno è andato in galera per il reato di falso in bilancio e non dire che perché nessuno (o qualcuno in particolare non) ci andasse era stato abrogato il reato di falso in bilancio.
Che poi questi siano temi non negoziabili al tavolo sindacale ci può stare, ma questo non vuol dire che questi temi siano insindacabili.
Grazie, infine, per l’attenzione.
Alcune precisazioni sparse.
Non si tratta di “levità” ma di “stringatezza” (se così si può dire, in riferimento a una risposta da oltre 500 parole, che su un forum sono un’enormità). La questione IAS 39 -> ISFR 9 è veramente epocale in sè, nei suoi presupposti e nelle sue conseguenze. Ma qui siamo tutti del mestiere e quindi non c’è bisogno di fare un’analisi di dettaglio per sapere di cosa stiamo parlando.
Non è corretto dire che tutte le banche sono uguali e che le non fallite lo sono solo per il cambio di regole. Le regole sono sempre uguali per tutti. Lo erano prima e lo sono adesso. E alcune banche sono fallite prima e altre non sono fallite, sempre prima.
Ammettere di non avere titolarità negoziale e rivendicare comunque di avere voce in capitolo sono due cose non solo compatibili, ma – secondo noi – assolutamente necessarie. La FISAC in particolare lo ha sempre fatto, prendendo posizioni pubbliche interne ed esterne all’azienda. E continueremo a farlo. Anzi, stiamo già continuando, ad esempio proprio con il comunicato che stiamo commentando e con il suo “gemello” sul Piano Industriale. Noi, a differenza di altri soggetti sindacali, non “diamo i voti” alle politiche aziendali. Dare i voti ha una efficacia se chi li da ha il potere di promuovere o bocciare. Questo potere il Sindacato non ce l’ha: è degli azionisti che decidono di investire o disinvestire nell’azienda. Il Sindacato invece ha il potere (e il dovere) di analizzare i contenuti delle politiche aziendali per decidere come affrontarne le ricadute, quali rivendicazioni mettere in campo per gestire la qualità della vita lavorativa dei colleghi, quali garanzie in tema di diritti e occupazione, quali prospetive salariali.
Bene così – diversamente non sarei cgiellino da 40 anni.
🙂