Le normative europee di prossima applicazione in materia di svalutazione dei crediti e, in particolare, il cosiddetto “addendum”, che fissa le linee guida sui crediti deteriorati devono essere radicalmente cambiate, tenendo conto delle proposte del Governo Italiano di modifica rispetto alle indicazioni volute dalla Commissaria Europea Dott.ssa Nuy.
Le scelte europee stanno infatti spingendo le banche italiane, anche quelle che sino ad oggi non avevano manifestato alcuna necessità in tal senso, a vendere i propri NPL, anziché gestirli in proprio, come per molte sarebbe ancora possibile fare.
È inaccettabile che il nostro Paese sia sotto pressione in Europa proprio da parte di quegli Stati che durante la crisi nel 2008, hanno mantenuto negli attivi delle banche derivati e titoli a rischio, vera causa delle difficoltà europee.
Per quanto ci riguarda non possiamo che ribadire, anche alla luce dell’avvenuta cessione di circa il 25% degli NPL nel 2017, che i crediti deteriorati non devono essere svenduti, tanto più a società straniere avulse dal nostro contesto sociale.
Diversamente dal passato, però, tale atteggiamento sta, negli ultimi tempi, assumendo carattere strutturale e non congiunturale, cioè legati alla necessità di assicurare i coefficienti di capitale compromessi da situazioni economiche temporaneamente deficitarie.
I gruppi bancari stanno infatti scegliendo la strada di liberarsi non solo di stoccaggi di crediti deteriorati (per lo più con sottostanti immobili privati e capannoni industriali), ma, soprattutto, delle piattaforme di gestione degli stessi, includendo nella cessione degli asset anche i dipendenti, sancendo così il definitivo abbandono di queste attività da parte del settore.
La nuova tendenza è, quindi, quella di ridurre ulteriormente l’occupazione nel sistema bancario e non solo gli attivi delle banche, liberandosi di personale addetto ad attività considerate non più “core”.
Ad oggi, la più spregiudicata di queste operazioni, è certamente quella messa in campo da Unipol Banca, determinata a procedere senza accordo sindacale con una cessione, della cui legittimità abbiamo ampi margini di dubbio anche sul piano legale, di lavoratrici e di lavoratori, ai quali non si intenderebbe più applicare il contratto del credito.
Questa impostazione è per noi inaccettabile.
Anche per questa ragione accordi come quelli sottoscritti con Cerved Credit Management vanno riconsiderati.
Appaiono, dunque, più che allarmanti gli annunci che indicano l’abbandono della gestione in “house”, tanto declamata nei mesi scorsi, con rischi di pesanti ricadute sul personale, da parte del gruppo Intesa Sanpaolo, che anche se indotto a questa operazione dall’incombere dell’addendum, meglio farebbe a reclamare una ferma opposizione del prossimo Governo a questa regola, che noi stessi siamo convinti ad osteggiare.
D’altro canto non va dimenticato, come nel corso del 2017, con operazioni di intervento pubblico, da noi giudicate positivamente nell’interesse dei lavoratori e del Paese, vi siano stati Gruppi bancari che hanno beneficiato di tale intervento, negoziando con il sindacato importanti accordi di tutela dell’occupazione, dimostrando, come non mai, il proprio senso di responsabilità verso il settore. Sarebbe davvero paradossale che oggi le stesse banche che hanno beneficiato delle pubbliche contribuzioni e chiesto sacrifici ai lavoratori decidessero di cambiare rotta, picconando l’integrità del settore dal punto di vista occupazionale.
La cessione delle lavorazioni, infatti, non solo pregiudicherebbe le relazioni nelle aziende che la vogliono praticare, violando per la prima volta le pattuizioni che garantiscono sempre l’applicazione del contratto del credito al personale anche nelle cessioni, ma, soprattutto, andrebbe ad agire sull’area contrattuale definita dal CCNL, ridimensionandone proditoriamente il perimetro dal quale si vorrebbe togliere, per ora, la gestione dei crediti, quando deteriorati.
Sia chiaro: chi dovesse avere in testa la rottura dell’aera contrattuale nel settore si assumerebbe la responsabilità di aprire lo scontro con il sindacato.
Sarebbe una forzatura inaccettabile, una fuga in avanti anche rispetto alla trattativa di rinnovo del CCNL, che alcuni vorrebbero far trovare già preconfezionata al momento del suo avvio.
I Segretari Generali di Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil, Uilca e Unisin non condividono affatto l’idea che il credito deteriorato possa essere gestito da società esterne al perimetro associativo dell’ABI e, per tale ragione, contrasteranno qualsiasi Gruppo o Banca che intraprenderà iniziative in tal senso.
Qualora qualcuno volesse procedere in questa direzione sappia che non ci saranno sconti per nessuno.
Qualunque cessione di lavoratori al di fuori dell’area di applicazione del CCNL bancario troverà la mobilitazione unitaria di tutto il sindacato e il nostro fermo contrasto e l’indisponibilità a firmare accordi che non garantiscano la permanenza delle prerogative contrattuali acquisite dai lavoratori ceduti e, più in generale, quelle di tutti i lavoratori impiegati nelle società di gestione dei deteriorati.
Le scriventi chiederanno dunque di essere ricevute al più presto dall’Abi, dalla quale ci attendiamo di sapere se e in che modo intenda, in questa fase, difendere l’area contrattuale prevista dal CCNL da essa stessa sottoscritto, in attesa di dare corso al confronto per il suo rinnovo.
Sulla base delle risposte che riceveranno decideranno se e in che forma avviare una campagna di mobilitazione di tutto il sistema bancario a difesa della sua integrità.
Roma, 30 gennaio 2018
I SEGRETARI GENERALI DI
FABI – FIRST/CISL – FISAC/CGIL – UILCA – UNISIN
Sileoni – Romani – Megale – Masi – Contrasto
Mi auguro di avere male interpretato quanto “UNITARIAMENTE” scritto nel comunicato infatti, oltre alle ovvie e condivisibili considerazioni di merito in esso contenuto, vi si possono leggere affermazioni che non possono non destare forte preoccupazione sullo spirito e la determinazione che le Delegazioni Trattanti metteranno in atto in fase di rinnovo del CCNL, tanto più in quanto, tali affermazioni, sono poste tra due virgole, quindi con valenza di inciso:
“….in che modo intenda, IN QUESTA FASE, (ndr 1) difendere l’area contrattuale prevista dal CCNL da essa stessa sottoscritto, IN ATTESA DI DARE CORSO AL CONFRONTO PER IL SUO RINNOVO. (ndr 2)”
– (ndr 1) “…, IN QUESTA FASE, ….” si intende forse dire che in una fase successiva (rinnovo del CCNL ??) il perimetro dell’Area Contrattuale potrà essere messo in dubbio??
– (ndr 2) “…, IN ATTESA DI DARE CORSO AL CONFRONTO PER IL SUO RINNOVO, ….” l’ambiguità del soggetto al quale si fa riferimento (Area Contrattuale o CCNL??) non può che rafforzare la preoccupazione su quali siano le intenzioni delle Delegazioni Trattanti su quella che è la più delicata e qualificante materia del CCNL, …posto che quelle di ABI sono note da anni.
Per quanto ci riguarda (ma è pensiero condiviso):
“In questa fase” significa “qui e ora”, ovvero fin da subito ed esattamente nel momento in cui le aziende stanno tentando (e alcune lo hanno già fatto) di estromettere alcune lavorazioni dall’Area Contrattuale.
“In attesa di dare corso al confronto per il suo rinnovo” significa in attesa del rinnovo del CCNL. Peraltro nell’ambito di tale rinnovo il nostro obiettivo non sarà solo quello di mantenere il perimetro attuale dell’Area Contrattuale, ma anzi di ampliarlo ed estenderlo alle professionalità che già esistono nel settore ma non ne beneficiano (ad esempio i promotori) e alle nuove professionalità che si stanno affacciando (analisti e gestori dei dati, specialisti di gestione del rischio e così via).