La drammatica emergenza che abbiamo vissuto in questi mesi produrrà numerosi cambiamenti nel nostro modo di vivere, uno di quelli più appariscenti nel mondo del lavoro è sicuramente la diffusione dell’utilizzo dello smart working. Nel giro di poche settimane il nostro Paese ha affrontato un incredibile esperimento di ricorso alle tecnologie ed a nuovi metodi di lavorare, superando di un balzo anni di arretratezza nei confronti di altre Nazioni più avanzate tecnologicamente.
Nella stessa Intesa Sanpaolo, che partiva da un accordo del dicembre 2014, la diffusione di questo modo di lavorare era ancora parziale e disomogenea: è impressionante pensare che in pochissimo tempo hanno iniziato a lavorare da casa tutti i colleghi delle Strutture Centrali, ed ancora sembrava impossibile due mesi fa riuscire a superare la resistenza dell’Azienda ad estendere lo smart working alle attività della Filiale Online e buona parte delle Filiali fisiche.
Oggi nel Gruppo sono abilitati al lavoro flessibile circa 45.000 colleghi.
L’Azienda nell’incontro della scorsa settimana ha dichiarato di ipotizzare un graduale rientro alle attività lavorative in sede fisica, ma nel contempo si sta attrezzando affinché entro la fine del 2020 tutti i dipendenti del Gruppo siano dotati dei pc aziendali per poter essere abilitati allo smart working, anche per essere pronta ad affrontare nuove emergenze consentendo di continuare ad operare anche in forma remotizzata.
Come FISAC CGIL pensiamo che lo smart working in questa fase straordinaria abbia consentito di salvare molte vite nel nostro Paese. Inoltre sono apparse evidenti le ricadute positive sull’ambiente, dovute alla minore mobilità, e sulla migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro delle persone.
Nella fase successiva all’emergenza, lo smart working dovrà tornare ai limiti temporali di utilizzo previsti dal Contratto di Secondo Livello di Gruppo e dal CCNL.
Se è vero che c’è stato un cambiamento epocale con l’estensione di tale strumento, sono anche evidenti le criticità che si possono determinare e che, in un elenco forse neppure esaustivo, dovremo affrontare:
- l’orario contrattuale va garantito realmente per tutte le mansioni, definendo le regole per l’eventuale straordinario e rendendo esigibile il diritto alla disconnessione
- l’utilizzo significativo di giornate in smart working comporta un’attenzione economica per i lavoratori, sia per le spese di funzionamento delle apparecchiature, sia per il mancato riconoscimento del ticket pasto;
- l’attività prolungata in postazioni non attrezzate adeguatamente, come prevede da anni la letteratura di medicina del lavoro, può comportare l’insorgere di problemi per la salute legati alla postura, alla dimensione degli schermi ecc.;
- solitudine e isolamento sono gli stati che si possono determinare perché la socialità fa parte della natura dell’essere umano che anche nella sfera lavorativa non può mancare;
- lavorare da casa è certamente un aiuto per equilibrare i propri tempi di vita, ma affinché sia tale è necessario riuscire ad organizzare spazi e tempi famigliari e domestici in funzione del lavoro, per limitare i fattori di distrazione: tale separatezza risulta maggiormente complessa per le lavoratrici che sono per la generalità maggiormente impegnate nell’ attività di cura.
Per la FISAC CGIL la sola strada per trovare le risposte a queste domande è la contrattazione collettiva, a cominciare dagli accordi in essere nel Gruppo e delle previsioni introdotte nell’ultimo rinnovo del CCNL.
Questa nuova frontiera del lavoro non può né essere e né diventare un Far West ma va regolata, per garantire le necessarie tutele e non trasformarsi in un arretramento dei diritti per le lavoratrici ed i lavoratori.
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Invece che scrivere e sottolineare che la donna è quella che normalmente si prende cura della casa (complimenti, la lotta di genere vi ringrazia per questo supporto degno di nota) provare ad aumentare i giorni fruibili dello SW da 8 a 12 mensili par brutto ? L’essere umano ha bisogno di socialità è una brutale generalizzazione della peggior specie, piuttosto si dovrebbe parlare di rimborsi spese per l’elettricità, o per la poltrona ergonomica. Supportare lo SW dato che diminuisce la diossina emessa, da mezzi pubblici o da auto. Insomma, lo SW ha più benefici che difetti, ma non li vedo evidenziati, sinonimo del fatto che chi scrive evidentemente parla per sentito dire e non per esperienza diretta.
A soli 4 giorni dalla mia uscita per esodo, ed avendo sperimentato – come specialista crediti della DR LSSAM – il lavoro flessibile in via continuativa, dal 9 marzo fino a… ieri! – condivido pienamente il contenuto del post-it. Credo che davvero lo smart working sia insieme una grande opportunità – anche e forse soprattutto in un’ottica di sviluppo sostenibile e di realizzazione di politiche per la salvaguardia dell’ambiente – ma anche una modalità di lavoro che deve essere regolamentata perché non si trasformi in un boomerang per i lavoratori. Tantissimi auguri, alla FISAC ed a tutti i colleghi!
io sono una di quelle persone che utilizza lo smart working dal 2014. Ma se un collega avesse la possibilità di scegliere se lavorare sempre in smart working avendo una postazione funzionale e rispettante le normative di ergonomia perchè non proporlo come scelta?
Io credo che non si possa che guardare alle situazioni individuali Chi ha sei altamente disagiate con viaggi lunghi e numerosi cambi di mezzi pubblici, non ha alternative all’utilizzo dello smart-working.
Porre veti generalizzati sarebbe miope. Talvolta le esigenze specifiche vanno salvaguardate.
Per inciso, se continuano a mancare gli hub (che qualcuno usa impropriamente come sede di lavoro, magari perché ne è costretto), con i limiti attuali di 8 giorni al mese, avremo un incremento esponenziale del pendolarismo e persone costrette a lunghe percorrenze. Dal punto di vista economico qualcuno preferirebbe rinunciare al buono pasto (con cui certo non si mangia) ed evitare i costi e i rischi di viaggio. Per quanto riguarda il tempo, se se ne è capaci (ma non è che siamo così sprovveduti) si guadagna, non si perde. Cerchiamo quindi di trovare un giusto equilibrio e di non penalizzare chi, oggi, dello smartwork esteso ha bisogno.
Spero solo che l’utilizzo diffuso dello SW non si limiti a questa fase di emergenza ma continui…
Siamo molto contenti che questa nostra prima nota sullo SW abbia attirato attenzione e favorito l’avvio di un dibattito sulla questione. In effetti il nostro scopo era esattamente questo: avviare un confronto ragionato e non sull’onda dell’emergenzialità da cui partire per formulare proposte negoziali su uno dei temi che è destinato a rivoluzionare in modo assoluto e stabile il mondo del lavoro.
A questo proposito vogliamo riprendere due punti che forse non abbiamo dettagliato con sufficiente chiarezza nel testo; il dibattito serve proprio a questo: ascoltarsi, chiarire e chiarirsi, confrontarsi e formulare proposte via via più affinate e avanzate.
Innanzitutto vogliamo ribadire che per la FISAC lo SW è una modalità lavorativa senza alcun dubbio positiva e che deve essere sviluppata e implementata. La nostra non è una semplice affermazione teorica, ma una linea negoziale concreta: in ISP siamo stati in prima fila per rivendicare l’estensione delle SW a tutto il Personale del Gruppo indipendentemente dalla mansione svolta e rendendo opponibile solo parzialmente dell’azienda la condizionalità della compatibilità invece prevista in modo assoluto dall’art. 90 del Decreto Rilancio. L’accordo sottoscritto in azienda in superamento delle previsioni di legge e delle resistenze aziendali rappresenta una delle punte più avanzate della regolamentazione dello SW in Italia sia per le sue immediate ricadute concrete, sia per la sua portata culturale che apre possibilità inimmaginabili anche solo pochi mesi fa.
L’altro aspetto fondamentale della nostra visione sullo SW è che è lavoro. L’affermazione può sembrare ovvia e quindi spesso ci dimentichiamo di ribadire un concetto solo apparentemente evidente e di cui si tende a trascurare le conseguenze. Lo SW è una modalità lavorativa a tutti gli effetti e non una qualche non meglio definita concessione che favorisce il lavoratore danneggiando dell’azienda. È un fatto ormai accertato da una ricca letteratura scientifica che il tasso di produttività aumenta sensibilmente in tutti i contesti in cui viene applicato lo SW. Non è quindi più accettabile che le aziende cerchino di continuare ad alimentare una visione in base alla quale poiché lo SW serve al lavoratore, allora il lavoratore deve in qualche modo “pagarselo” rinunciando a una parte più o meno ampia di ciò che definisce il suo rapporto di lavoro come tale (durata della prestazione lavorativa, salario accessorio, strumentazioni adeguate, apprestamenti a tutela del benessere psicofisico e così via).
Le implicazioni e gli intrecci di queste due visioni (necessità di ampliare e potenziare lo SW e conseguente necessità di sottrarlo al campo delle concessioni per ricollocarlo in quello delle normali modalità di prestazione lavorativa) devono determinare – a nostro parere – una analisi né banale né statica che possa offrire una solida base su cui costruire una negoziazione adeguata alla complessità dei fenomeni e alla velocità dei cambiamenti.
Il vostro contributo è e sarà assolutamente fondamentale.
La mia esperienza per lo S.W. è complessivamente negativa, per le tante ragioni che sono state esposte. Credo che c’è il rischio che possa essere usata anche impropriamente. In ogni caso credo e spero debba essere su base volontaria
Certamente. Al di là della tua esperienza personale, nella nostra visione l’adesione deve rimanere una scelta volontaria e individuale. E’ un’altra delle cose che diamo così per scontate che dimentichiamo di sottolinearlo abbastanza. Grazie di averci dato l’occasione di questa puntualizzazione.
La possibilità di poter lavorare in smart working è molto utile per chi, come me, debba affrontare lunghi tragitti per recarsi sul luogo di lavoro. E, per quanto riguarda il mio ambito, le ricadute in termini di produttività sul lavoro sono molto positive. Spero vivamente che questa modalità venga implementata con la possibilità di scegliere di lavorare in SW oltre il limite attualmente previsto di 8 giorni al mese. Secondo me dall’estensione, opportunamente regolamentata, dello SW trarrebbe un proficuo vantaggio sia il lavoratore sia l’azienda.
Facevo smart working anche pre-covid, di solito 1 o 2 giorni a settimana, e lo trovavo utile specie per conciliare le esigenze famigliari. Tuttavia, ora che lo faccio ininterrottamente dal 21 febbraio (!) onestamente lo trovo alienante. Nessun contatto umano, nessuna pausa (perchè visto che sei in smartworking si ritiene che tu debba essere PERENNEMENTE reperibile su skype, in caso contrario ti chiamano al cellulare istantaneamente…), nessuna distinzione tra spazio lavorativo e vita privata. Onestamente, spero rimanga un’opzione e non un obbligo per il lavoratore (capisco che l’azienda avrebbe solo da guadagnarci, meno spese per spazi di lavoro, corrente elettrica, ticket ecc, a fronte, almeno per noi di sede centrale, di uguale se non maggiore impegno lavorativo).
Le esperienze individuali rispetto allo smart working e al suo utilizzo più o meno estensivo sono molto diversificate come abbiamo cercato di far emergere nella nostra news e come i commenti testimoniano in modo abbastanza evidente. Proprio per questo non si possono adottare soluzioni improvvisate e generaliste, ma occorre fare un’analisi seria e attenta di tutte le implicazioni. In ogni caso, lo abbiamo detto e lo ribadiamo volentieri, l’adesione allo smart working nella nostra azienda (al di là delle contingenze emergenziali) è e deve rimanere una scelta individuale.